Oggi niente grafici! Oggi ci prendiamo una pausa dai diagrammi e affrontiamo il tema di come si concepisce un intervento sistemico e, più in generale, quale dovrebbe essere la condotta di un s.t., un systems thinker.
Dopo aver pubblicato l’articolo sugli insetti parassiti, tre settimane fa o giù di lì, una delle domande più frequenti che ho ricevuto è stata: “Beh, ma allora, cosa avrebbe dovuto fare l’agricoltore, qual è la risposta giusta?”. Domanda legittima, persino prevedibile se non inevitabile: voglio partire da lì.
Il pensiero sistemico è una disciplina che oltre a essere autoconsistente è di fondamentale supporto a tutte le altre, una metadisciplina quindi… ma rendiamo pratica la questione.
Supponiamo tu sia un consulente sistemico e che riceva una telefonata dal nostro amico titolare dell’azienda agricola. Il tizio ti racconta del problema che ha e siccome la scelta che deve operare per risolverlo ha evidenti risvolti strategici (se non di sopravvivenza tout court dell’azienda stessa) vuole sentire il tuo parere perché ha sentito dire che sei un tipo in gamba e che sai andare al nocciolo delle questioni: quale pensi che dovrebbe essere il tuo contributo? Quello di fornirgli la soluzione al problema?
Chissà, forse saresti tentato di pensare che, sì, è compito tuo, d’altra parte sei il Mr. Wolf delle aziende, lui ti ha cercato perché ha un problema e quindi il minimo che tu possa fare è trovargli una via d’uscita.
Ma dimmi un po’: tu sei anche un agronomo? E un biologo? E un contabile? E un consulente del lavoro? Già, perché qualunque soluzione tu escogitassi avrebbe riverberi in quegli ambiti (e non solo in quelli) dell’azienda e della sua attività.
Dopo aver preso il rituale caffè di benvenuto, ti basterebbe applicare per cinque minuti il metodo “E” rivolgendo le domande al tuo ospite (e non solo), per toccare con mano quante ricadute a destra e a manca avrebbe qualsiasi idea tu proponessi.
È semplice: tu non puoi conoscere la soluzione perché non conosci la situazione!
Però sai come portare il nostro amico a trovarla…
Certo, con il tempo la tua esperienza ti fornirà un corposo bagaglio e qualche volta ti capiterà di “vedere” chiaramente il sistema anche da solo, ma dovrai sempre verificare di aver ben compreso e di possedere tutti i dati necessari.
Una delle abilità fondamentali che un consulente in genere deve sviluppare, ancor più se sistemico, è sapere come si “costruiscono” le domande d’indagine (tranquillo, non affronteremo l’argomento adesso, non è questo il punto in discussione).
La cosa si fa ancora più interessante se consideri che quasi certamente anche il gran capo non conosce appieno la situazione ma tu puoi e devi guidarlo alla ricerca delle informazioni e delle variabili importanti spingendolo a reperire quelle che mancano presso collaboratori, fornitori, clienti, dipendenti o altri consulenti. Un intervento sistemico non è un assolo da prima donna, ma è un lavoro di gruppo, un’esecuzione d’orchestra di cui tu, il consulente sistemico, sei direttore (e ti assicuro che ti stupiresti di scoprire quanti boss non conoscono fino in fondo la loro azienda).
Per capire meglio cosa intendo, pensa per un attimo agli archetipi: sei un consulente sistemico e quindi si presume che tu li conosca, che conosca le leggi causali e di correlazione (c’è differenza tra nesso di relazione e nesso di causa, ne parleremo in un prossimo articolo), che sappia vedere i ritardi che gli altri non vedono, che sappia distinguere un ciclo di rinforzo da uno di riequilibrio, che sappia disegnare i diagrammi e via di questo passo ma… come puoi sapere con quali variabili popolare quegli schemi? Come puoi sapere quali sono gli elementi in gioco? Come potresti mai rispondere, per es., in solitaria, alle domande del metodo “E”? Non sei il titolare di quel posto, non sei un biologo, o un agronomo, o un dipendente ecc….. tu quelle cose non le sai, ma sai riconoscere le dinamiche di sistema quando ci sbatti il naso!
Ti è chiaro, inoltre, che così facendo, svolgendo cioè un’indagine ben congegnata e supportata, ricaveresti un aiuto fenomenale nell’identificazione corretta dei confini del sistema-azienda? Come avresti mai potuto farlo da solo?
Un intervento sistemico presenta dunque diversi aspetti virtuosi.
1. È un intervento collegiale. Per procedere a una corretta osservazione sistemica (ricordiamolo ancora una volta: analisi sistemica è una contraddizione in termini, qualcuno la chiama anasintesi ma a me non piace molto) occorre coinvolgere gli stakeholder e le risorse locali, occorre saper condurre un’indagine volta a rilevare informazioni di qualità, bisogna coltivare la convinzione di non sapere perché solo così è possibile individuare proficuamente i contenuti del sistema. La struttura si costruisce dopo e durante il lavoro di gruppo.
2. È un intervento profondo. Per sua natura e per come va condotto, l’intervento sistemico aggredisce i problemi alla radice rivelandosi per quello che è, cioè un’azione lungimirante, rivolta al lungo periodo: non vorrai mica che il tuo cliente ti richiami la settimana dopo per dirti che sono daccapo, no?
Sì, lo so, a qualcuno sta bene così…
3. È ecologico.
Con il termine “ecologico” si richiama la sostenibilità degli effetti dell’intervento, non soltanto in senso ambientale o naturale. L’adozione di una misura “ecologica” deve infatti garantire l’aspetto conservativo di quanto già funzionale ed efficiente esista nel sistema a tutti i livelli, rifuggendo quei provvedimenti che, pur centrando l’obiettivo prefissato, abbiano come conseguenza un qualsivoglia danno collaterale. Si noti bene l’uso del termine “danno” e non “costo”: poiché non esiste un sistema che non abbia un costo, lo scopo dell’operatore è quello di muoversi nell’ambito degli eventuali costi sostenibili; i costi sostenibili sono flessibili, trasferibili e transitori, i danni sono definitivi e non permutabili.
– Tratto da Il Grande Spreco: progrediti ma non evoluti –
4. È rispettoso delle forze intrinseche al sistema e ha un basso “impatto ambientale”, ancora una volta inteso non solo nel senso naturale del termine ma anche umano, relazionale, sociale, organizzativo; nel prossimo articolo vedremo un esempio di come utilizzare le forze interne di un ufficio/gruppo per far accettare un cambiamento osteggiato.
Gli interventi di tipo III-IV sono l’unica forma di soluzione profonda, solida, strutturale e duratura, e ciò ha perfettamente senso poiché, a prescindere dall’intervento che si pensa di effettuare, ci sarà sempre una reazione/resistenza del sistema; se così è, allora tanto vale considerarla sin dall’inizio come una variabile integrante e inevitabile del provvedimento e non come una mera possibilità accidentale. Le uniche azioni che rispettano questo presupposto sono quelle di tipo generativo ed evolutivo. Negli interventi di tipo III e IV il sistema si riequilibra autonomamente utilizzando le proprie forze: un s.t. ha nell’energia intrinseca del sistema il più potente degli alleati.
– Tratto da Il Grande Spreco: progrediti ma non evoluti –
Naturalmente, come tutte le cose di valore, anche questo ha un costo, che non è solo quello del consulente :) : sto parlando dell’abbandono dell’area di comfort (da parte del “cliente”) e dei tempi di realizzazione (per la coesistenza tra interventi d’emergenza e interventi profondi leggi l’articolo sul ‘Fixes that Fail’).
Coinvolgere i nostri interlocutori, integrarli nel processo, spingerli a fare la loro parte, affrancarli dalla schiavitù delle consulenze tampone e delle soluzioni precotte, renderli autonomi, significa far loro accettare che
[…] l’ormai inveterata abitudine di cercare soluzioni veloci è fra le principali cause del protrarsi dei problemi: non diamo tempo alle cose di accadere, abbiamo sempre troppa fretta, stupidamente convinti che problemi complessi possano essere risolti velocemente per effetto della nostra maestà. Ciò, semplicemente, non è possibile, e sarà bene iniziare sin da subito a diffidare di chiunque (ripeto, chiunque) dica il contrario.
– Tratto da Il Grande Spreco: progrediti ma non evoluti –
Vedi, poche operazioni hanno la stessa spinta evolutiva e responsabilizzante di un intervento sistemico.
Respons-abilità (no, non è un refuso) significa rendersi imputabili delle esperienze fatte, degli eventi accaduti, significa sentirsi abili e abilitati a rispondere a una crisi o, al minimo, disporsi ad apprendere come diventarlo; quale servizio migliore, o di più alto profilo, potresti mai rendere alle persone che si rivolgono a te? Un Mr. Wolf per tutte le stagioni non esiste, anche se spesso pare di vederne parecchi in giro.
Nella vita di ogni giorno le cose non sono poi così diverse, e qui torniamo al punto da cui siamo partiti: il problema dell’agricoltore.
Tutti possiamo avere un’opinione su tutto, ma che questa sia sensata, però, è un altro paio di maniche. Un s.t. non ha la soluzione per tutti i problemi di tutti i sistemi solo perché pensa in termini di sistema: ciò che ha è però la conoscenza degli strumenti per arrivarci, e non pretenderà mai di avere, a priori, anche i contenuti.
Pensare in termini sistemici significa sospendere il giudizio, assumere informazioni di qualità e solo dopo elaborare la soluzione; significa che ciascuno di noi, nel proprio lavoro, che conosce bene, può imparare a comportarsi sistemicamente, e non in molti altri; significa ricordarsi che le cose, ahimè, non sono mai così semplici come vorremmo o come ci hanno abituati a pretendere: per quello esistono già i tuttologi.
E Mr. Wolf, naturalmente.