Questi articoli cominciano a diventare delle mezze consulenze: quasi quasi metto un tasto Paypal ‘DONATE’ :-)
PREMESSA
Qualche giorno fa ero al telefono con un amico e fra le altre cose ci siamo ritrovati a parlare della vision in azienda: il risultato di quella conversazione è la mia decisione di scrivere questo articolo.
Non so a te, ma a me capita di visitare siti istituzionali di aziende anche molto importanti e quotate in cui pare che la vision e la mission siano state vergate da un pescegatto!
Sì, ne convengo, non è un’affermazione molto rispettosa, ma trovo che lo scherno sia il prezzo minimo da mettere in conto quando:
- vuoi a tutti i costi parlare di un argomento che non conosci
- fai qualcosa solo perché “va fatto”
- fai qualcosa perché lo fanno gli altri, perché è di moda o perché fa “figo”
- fai qualcosa perché pensi ti faccia comodo: la vision viene spesso vista come un mezzo per creare appartenenza e quindi aumentare partecipazione e produttività
- non sai cosa stai maneggiando.
OBIETTIVO
Ecco cosa non voglio fare:
- non voglio dilungarmi su cosa sia una vision, cosa una mission né con quali criteri linguistici e di contenuto debbano essere stilate: c'è qualcosa di più urgente da dire, e poi è pur sempre una mezza consulenza, no? ... quasi tre quarti :-)
Ecco invece cosa voglio fare:
- dimostrare perché, nella stragrande maggioranza dei casi, aziende, leader, manager, consulenti e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta farebbero bene a stare alla larga dalle improvvide “installazioni di vision” senza prima conoscere il Leviatano che stanno per svegliare.
A ogni modo, al puro fine di stabilire un terreno comune di partenza, ecco la definizione più breve possibile (e comunque corretta) di vision:
“Ciò che voglio nel mondo (mercato)”
Sul tema sono stati scritti fiumi di parole e ci sono scuole di pensiero diverse (e quando mai!) ma resta il fatto che per sua natura una vision deve essere ambiziosa, chiara, coinvolgente, ideale, molto probabilmente irrealizzabile, visionaria, appunto; è così che può diventare una fonte di energia per un progetto straordinario cui l’Azienda partecipa.
Per la stessa ragione se non si ha una visione chiara, sentita, partecipata e favolosa del “mondo che vorremmo”, è bene evitare di avvicinarsi al foglio su cui abbiamo deciso di scriverla: una visione o la vivi, ti scorre nelle vene, la respiri, la traspiri, ne hai cura e la sai trasmettere oppure… lascia perdere.
In fondo credo che sia per questo che le dichiarazioni di vision di tante grandi aziende non siano altro che tentativi di ammaliare il mercato (cercando maldestramente di darsi una veste umana) o accurati manifesti di come intendono fare business.
LS-LIMITI ALLA CRESCITA
Come ho appena detto, il nocciolo di questo articolo NON è parlare della struttura di una vision, di quante parole debba contenere, del linguaggio che dovrebbe utilizzare, di ciò che dovrebbe evocare o dell’uso che se ne dovrebbe fare in azienda (a proposito: ma la vision va “usata” in Azienda??).
Ciò che mi preme è rispondere a un’altra domanda: da dove deve provenire la vision?
Molte visioni non si radicano e non si diffondono mai, restano solo un bell’annuncio su una brochure o su un sito e non entrano mai, se non lontanamente, nella vita delle persone che lavorano in azienda: questo è un fatto.
Ma perché accade?
La diffusione e l’adozione dei valori sottesi a una vision possono rallentare o addirittura fermarsi per il manifestarsi di strutture interne da “LS – Limits to Success – Limiti alla crescita”, un famigerato archetipo sistemico che svolazza libero e fiducioso sulle nostre teste come un avvoltoio in attesa di cibo.
Se in passato hai già accettato l’idea che nei sistemi in cui sei immerso sono presenti archetipi che ne determinano il comportamento, bene, allora non ti sarà difficile accettare anche questo.
Non è necessario, ora, approfondire le dinamiche strutturali del LS, ma eccone il diagramma generico il cui senso, ormai, non dovrebbe sfuggirti (in ogni caso ti sarà chiaro più avanti).
Bene, torniamo alle visioni.
Il lavoro più interessante e autorevole sul processo di diffusione delle visioni è senza dubbio quello di Peter Senge, pubblicato nel suo “The Fifth Discipline”, e sarà proprio il grande Peter ad “aiutarmi” nello spiegare ciò che penso circa le visioni in azienda!
In un mondo perfetto le visioni si diffondono grazie a un ciclo di rinforzo:
Una visione chiara crea entusiasmo, il che porta le persone a parlarne e a chiarirla ancora di più, la qual cosa aumenta l’impegno e l’euforia per i vantaggi che porta con sé.
La visione pertanto si diffonde e la spinta viene ulteriormente rafforzata dai primi successi.
Questa è la lettura del diagramma precedente…
Purtroppo però non viviamo in un mondo perfetto: nel mondo reale le cose stanno messe diversamente.
LIMITI ALLA CRESCITA 1
A mano a mano che l’impegno delle persone cresce e la visione si diffonde, aumenta anche lo stimolo per diverse opinioni e proiezioni del futuro: a questo punto cosa fare delle persone che hanno idee diverse e che mettono in discussione la vision? Le emarginiamo? Le indottriniamo? Iniziamo un programma di persuasione? E poi, le loro convinzioni sono forse meno legittime?
Il punto qui non è stabilire se siano “giuste” o “sbagliate” per l’azienda (sentenza che, tra l’altro, sarebbe emessa quasi certamente dagli stessi fautori della vision) ma capire come affrontare la questione, perché se lo sviluppo della vision si riduce a una mera azione propugnatrice, beh, allora non otteniamo altro che conformismo!
Parliamoci chiaro: è inevitabile. C’è sempre (sempre!) un fattore limitante in ogni processo e questo caso non fa eccezione: ciò che serve è individuare quale sia e quale “altro” processo crea. Diamo un’occhiata.
- Viene introdotta la vision (supponiamo pure in maniera coinvolgente e motivante)
- Si crea entusiasmo per un cambiamento evolutivo (così verrà percepito a condizione che non impatti sin da subito contro qualche resistenza, per es. pregressa mancanza di fiducia o credibilità, ma i motivi possono essere numerosi)
- Le persone ne parlano sempre di più
- Più persone ne parlano più aumenta la diversità delle opinioni
- Più le opinioni si diversificano più, in mancanza di un corretto intervento armonizzante, aumenta la polarizzazione
- La polarizzazione confonde le persone e le allontana dallo sviluppo della vision
- Fine dei giochi
Non ti sembra di riconoscere uno schema?
Eh sì, questa situazione (risultato, ahimè, di una pratica drammaticamente comune) è quella di una tipica struttura da LS- Limiti alla Crescita.
Il fattore limitante (che qui diventa anche un punto di leva) è la capacità dell’organizzazione di armonizzare, integrare e valorizzare le diversità, quindi la domanda è: prima di partire per questo viaggio verso i misteriosi anelli di Saturno, la leadership si è dotata degli strumenti necessari a minimizzare il circolo B1? Ne è diventata abile utilizzatrice? È una modalità di gestione e relazione davvero connaturata nel gruppo? Se la risposta è NO… lascia perdere.
Non è accademia, è realtà: una vision sarà tanto più vissuta, apprezzata e sviluppata quanto più l’organizzazione sarà in grado di renderla inclusiva. Essa deve potersi evolvere al passo con le persone che la sostengono e che la vivono: le visioni degli altri la nutrono e la fanno apprezzare (stavo per dire “amare”) proprio perché essa si rivela più “grande” di quelle individuali, le accoglie e le esalta.
Andiamo avanti.
LIMITI ALLA CRESCITA 2
Le visioni possono non radicarsi anche per la difficoltà percepita dalle persone nel cercare di realizzarle.
Eccoci di nuovo! Un’altra struttura da LS, solo che in questo caso il fattore limitante è la tensione creativa.
Per tensione creativa si deve intendere, semplificando, l‘impulso generativo che nasce nei singoli quando avvertono lo scarto che esiste tra ciò che desiderano e ciò che percepiscono nella realtà. Molto più spesso di quanto sia giustificabile, questa tensione assume connotazioni negative, per es. di ansietà o frustrazione, e questo è un vero peccato perché, se ben incanalata, si colloca alla base dello sviluppo personale.
Lo sviluppo personale è quello che qualcuno modernamente chiama anche empowerment (ormai lo sai no? in inglese è tutta un’altra cosa…) e sul quale tanti sforzi vengono convogliati spesso con scarsa cognizione. In assenza di questa fertile energia dei singoli, la vision condivisa diventa una chimera; ancora una volta, quindi, se l’organizzazione non si cura di questo aspetto profondamente umano, sarà bene che non si avvicini neanche alla “creazione della vision”; in altri temini, indovina un po’… lascia perdere.
LIMITI ALLA CRESCITA 3
Le visioni emergenti possono morire perché i compiti quotidiani sopraffanno le persone: per la visione non rimane… né spazio né tempo.
Il management corre ai ripari e cerca di rendere la vita più semplice e produttiva ai componenti del gruppo e cade nella trappola del Time Management… o in qualunque altro modo decidano di chiamarlo o il consulente di turno di venderglielo. Sia come sia il problema esiste ed è serio e se non viene risolto prima (il che non è un compito facile come puoi leggere nell’articolo sul tema), pensare alla visione è un’azione superficiale e pericolosa.
In questo caso l’azione corretta è non solo quella di intervenire sull’evidente punto di leva rappresentato dal “Tempo richiesto dalle attività correnti” (e qui si apre il gigantesco capitolo della “organizzazione efficiente”) ma anche evitare i reciproci inquinamenti tra coloro che perseguono e credono nella visione e coloro che sono invece tiranneggiati dalla realtà corrente.
Questa condizione, che spesso viene creata da piccoli gruppi o clan illuminati, porta in sé un ulteriore elemento di pericolosità: aumenta il rischio di polarizzazione, in pratica un’altra criticità da gestire sin da subito, dalle prime avvisaglie.
Il caso forse più famoso di clan illuminato ma inizialmente osteggiato è quello del gruppo di ricerca Macintosh negli anni ’80.
Tutti sanno quanto poi abbia avuto successo dal punto di vista del prodotto e della sua filosofia, ma in pochi sanno quanto costò all’azienda in termini di tensione interna, separazione, polarizzazione, conflitto e quanto tempo ci volle per rimettere le cose a posto: fu addirittura necessario un “passo indietro” nello stile manageriale che dovette rifugiarsi in strutture più gerarchiche e rigide, l’esatto opposto del terreno fertile e dinamico nel quale era nato il progetto vincente.
Viene da chiedersi se tutte le compagini aziendali, in un caso simile, avrebbero la forza di ricomporre il danno e non di crollare sotto il peso del cambiamento…
LIMITI ALLA CRESCITA 4
Un altro nemico letale del processo di sviluppo e radicamento di un vision è la disconnessione tra i singoli.
Quando le persone smettono di chiedersi cosa realmente vogliono, se ne vale la pena e se è fattibile, smettono anche di parlarsi tra loro e le relazioni perdono di qualità limitandosi al mero svolgimento dei compiti assegnati: i dialoghi sulla visione e sul futuro del gruppo (e anche sul proprio) cessano e si va ampliando la separazione tra i “predicatori” acritici della vision e gli scettici-disinteressati-disillusi.
COME NASCE IL LEVIATANO? E SI PUÒ ADDOMESTICARE?
Ciò che le aziende dimenticano è che i pilastri di una vision sono la sua origine condivisa, è il desiderio dei singoli di sentirsi connessi con qualcosa di più grande per uno scopo più ampio, e anche di sentirsi connessi gli uni agli altri; tuttavia ciò può avvenire solo se le diversità sono armonizzate e se le differenze diventano un vero valore aggiunto, non solo un proclama da sito web istituzionale.
La sintonia e l’amalgama sono conseguenze dirette di due requisiti minimi: la capacità e la volontà di confrontarsi dei singoli.
Creare le condizioni affinché ciò si verifichi è responsabilità del management: deve fornire tempo, competenze, occasione, contesto e motivi perché ciò accada e difendere, con coerenza, la qualità dell’ambiente.
Nella costruzione della vision non possono esserci “credenti” e “non credenti” ma solo individui che ne vivono il processo di sviluppo, di qualunque opinione essi siano: una visione degna di questo nome deve essere inclusiva e sostenere senza tregua il dialogo e il contributo.
Ecco perché non può esistere una vision senza un programma esteso, capillare, costante e consapevole di comunicazione efficace all’interno del gruppo e condotto secondo criteri sistemici: un programma serio, quindi, non una giornata d’aula tanto per mettersi in pace con la coscienza.
Far emergere una vision è per un’azienda tanto meritevole quanto pericoloso: una visione non può calare dall’alto, può solo concepirsi in maniera condivisa, e non potrebbe essere altrimenti.
La vision è un percorso, non una dichiarazione dirigenziale o un tavolo di lavoro di un giorno o di una settimana.
Sì, alcuni ci provano e credono di esserci riusciti perché l’hanno pubblicata sui depliant o sul sito web, o perché ne hanno una stampa nei corridoi aziendali o in fiera.
Beh, è solo un’illusione e il motivo è sia sopra che sotto quest’ultima frase.
Gianluigi
email: gianluigi@neorema.net
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