ANTEFATTO
Compro una coppia di tergicristalli per una mia vecchia Smart.
Li compro “commerciali”, cioè compatibili (devo ancora capire perché si dice “commerciali”, vabbè…).
Nella confezione ci sono i due tergicristalli e… quello che vedi nella foto.
Appena scoperto il contenuto mi assale la sindrome Ikea, tipica del consumatore che deve districarsi tra alcuni milioni di pezzi di cui è composta la scrivania o la poltrona di turno e le cui istruzioni di montaggio sono descritte nel linguaggio universale della vignetta.
In questo caso, tergicristalli. E senza istruzioni.
Dopo il primo momento di panico, siccome sono molto intelligente, capisco che si tratta di adattatori, cioè le parti che connettono il tergicristallo al braccio.
Troppo intelligente.
Prendo i due che mi servono e rimango a osservare quelli restanti con un’espressione ebete che nega impietosamente l’ultima affermazione: non so che farmene.
Sì, perché non smonterò mai quei tergicristalli per rimontarli sull’altra macchina: i tergicristalli li smonti quando sono morti non quando fanno il loro lavoro, e se muoiono su una macchina non cannibalizzi l’altra ma semplicemente li ricompri.
Vado in cucina, alla bilancia: 120 gr di pura plastica intonsa, perfetta, bellissima, profumata, mai usata prima e che mai verrà usata.
Dopodiché la getto religiosamente nel contenitore della plastica che, a valle, verrà mischiata con il resto ma almeno la mia coscienza è a posto.
SVILUPPO (senza grafici, solo parole)
Penso: dieci persone come me e già fa più di un chilo di plastica.
Intonsa, perfetta, bellissima, profumata, mai usata prima e che mai verrà usata.
Allora faccio un calcolo che più approssimativo non si può (ho cercato dati più puntuali ma non li ho trovati e dopo un po’ ho deciso che stavo investendo troppo tempo per qualcosa che, in fondo, non è essenziale per comprendere il principio).
Dal 1998 al 2016 sono state vendute 2 milioni di Smart.
Il modello con cui sono compatibili i tergicristalli in questione è stato prodotto per 8 anni, dal gennaio 2007 all’ottobre 2014.
Facendo la proporzione becera di cui sopra, voglio ipotizzare che siano state vendute circa 900.000 unità.
Sempre sulla scia delle approssimazioni da brivido, ipotizzo che la metà dei possessori di questo modello (certamente molti di più, ma lasciamo andare…) abbia comprato, almeno una volta, il tergicristallo compatibile: fanno 450.000 kit.
Totale, al ribasso, 54 tonnellate di plastica intonsa, perfetta, bellissima, profumata che mai verrà usata e subito buttata.
Il problema è spaventoso se penso che sto parlando solo della mia vecchia Smart.
Ma è anche farsesco, come spesso sono i problemi creati dall’uomo.
In pensiero sistemico si dice che (a) i problemi di oggi sono le soluzioni di ieri e che (b) causa ed effetto sono lontani nello spazio e nel tempo.
Questo ne è un caso lampante.
Come si arriva a questa follia?
Il problema è negli standard.
Prova a immaginare l’effetto che avrebbe la standardizzazione degli agganci sui bracci dei tergicristalli di tutte le macchine.
Bada bene, non sto dicendo di produrre tergicristalli tutti uguali (troppa grazia): capisco e accetto che le auto siano tra loro diverse nel design. Ma gli agganci?
Pensa a quante marche di automobili.
Pensa a quanti modelli.
Pensa a quanti tergicristalli.
Pensa a quanti adattatori.
Ora: come si potrebbe arrivare a uno standard condiviso?
Servirebbero alcune precondizioni.
Per esempio ci dovrebbe essere la volontà condivisa dei diversi produttori, notoriamente poco propensi a collaborare fra loro in difesa del pianeta o a semplificare la vita della concorrenza.
Poi dovrebbero essere esclusi i brevetti relativi, volti a proteggere prodotto e indotto.
Poi ci vorrebbe un organismo super partes che stabilisse lo standard di riferimento, magari in chiave di affidabilità, durevolezza, sostenibilità e via di fantasie utopistiche.
E da chi sarebbe composto questo organismo? Con quali regole?
E in base a quali altre, e stabilite da chi, emetterebbe le sue sentenze?
Che peso dovrebbero avere gli interessi dei diversi attori/produttori e come potrebbero trovare posto, con equilibrio, nei processi decisionali?
Insomma, hai certamente capito dove voglio arrivare.
Chi ha già qualche dimestichezza con le leggi del pensiero sistemico sa che ogni struttura causale (le catene circolari di causa-effetto-causa) sta in piedi grazie alla relazione tra le parti, ha specifici punti sensibili, resistenze, punti di leva, regole di ingaggio ecc.
Tutte però hanno in comune un elemento fondamentale: i modelli mentali sottesi.
E da dove arrivano, come prendono forma i modelli mentali?
Cultura, educazione, tradizione, valori.
E anche scolarizzazione, famiglia, società, politica, informazione…
Per ottenere dall’industria (in questo caso) un approccio vincolante al tema in discussione servirebbe, per es., una politica forte, sana, espressione di un’altrettanto sana, attenta e consapevole società.
Ma, come detto, tutto nasce da lontano, nello spazio e nel tempo.
Pensa ai programmi scolastici superati, vuoti, autoreferenziali e scollegati dalla realtà, privi di veri stimoli intellettuali, sviluppo dello spirito critico e delle capacità di osservazione e interpretazione.
O al neoliberismo, a sua volta espressione di un progetto targato metà del ‘900.
O ancora alla tecnocrazia e al transumanesimo, possibili proprio grazie alla mancanza di un vero “sistema immunitario” del pensiero, perso nel corso del tempo e sostenuto dai nostri bias naturali così abilmente usati da chi li conosce e accuratamente evitati dalla formazione mainstream (scolastica e universitaria).
Ma soprattutto pensa a come tutto ciò (e molto altro ancora con cui non ha senso allungare il brodo) si concretizzi in un sistema che si autoalimenta, circolare, proprio come il pensiero sistemico ci insegna a vedere e trattare.
Meno sono consapevole, più mi affido e seguo questo processo disgregante e deformante; più mi ci affido più questo prende forza e livella ulteriormente verso il basso la mia consapevolezza… e così via.
CONCLUSIONE
Insomma, non c’è da essere ottimisti.
E non perché ci mancherebbero le armi per arrivare a un “mondo migliore”, ma perché per arrivarci occorrerebbe affrontare la fatica di cambiare pensieri, modelli, abitudini, valori.
Insomma, occorrerebbe metterci del proprio, cominciando a farsi le domande invece di accontentarsi delle risposte che il sistema ci fornisce.
Il nostro sistema, il nostro ambiente, i nostri spazio e tempo vitali si sono fatti complessi, interconnessi, difficilmente districabili, causa ed effetto giocano a rimpiattino molto abilmente.
E quindi è inaffidabile.
Un sistema persegue un solo obiettivo: la sua perpetuazione ottenuta attraverso un qualunque equilibrio, nient’altro.
Ma un equilibrio non è “buono” o “cattivo” in sé, è solo l’obiettivo intrinseco che il sistema persegue per sopravvivere e proteggere se stesso e lo fa producendo continui feedback tra un componente e l’altro.
Solo in un secondo momento arriviamo noi che, da “osservatori esterni” (esterni un accidente), decidiamo se quell’equilibrio ci è gradito oppure no.
Questa è l’epoca della specializzazione della conoscenza (la forma più qualificata di miopia), quella per cui passi dal sapere un po’ di tutto ma molto di una cosa, al tutto di qualcosa (forse) ma molto circoscritto.
La visione d’insieme è persa, il mondo ti gira sotto i piedi senza che tu te ne accorga e il sistema va per la sua strada.
Buon viaggio, se ti riesce.