Ho deciso di ribattezzare questo mio angolo nel cyberspazio con il nome di “Spazio Negativo”; per come vedo le cose, o per come mi sforzo di vederle, mi è sembrata una buona idea, in barba al “negativo” del titolo che, come stai per vedere, ha però un’accezione molto diversa dall’usuale.
In fotografia (dopo aver iniziato a scrivere queste righe ho scoperto che ieri ne è stata la giornata mondiale) lo spazio negativo, noto anche come whitespace o spazio bianco, è lo spazio tra gli elementi di una composizione, ne determina l’equilibrio e molto spesso ne è il principale elemento narratore.
Sembra strano ma modificare lo spazio vuoto intorno a un soggetto rappresentato ne cambia il significato: aggiunge o sottrae importanza al protagonista, veicola o attenua le emozioni, fornisce un contesto, crea profondità, cambia il messaggio.
Guarda queste due foto:
Non c’è dubbio che la prima “metta al centro” la ragazza raffigurata, ma la seconda?
Senza che ce ne rendiamo conto trasferisce importanza e centralità a ciò che quella stessa ragazza guarda e dunque proprio ciò che non si vede diventa importante (se copri la parte di schermo contenente l’immagine che non stai osservando l’effetto è evidente).
In ogni caso (meglio non avventurarsi troppo in discorsi da fotografo, io che sono capace di fotografarmi i polpastrelli con il cellulare!) quando molto tempo fa ho scoperto il concetto di spazio negativo ne sono rimasto affascinato…
Nel mio lavoro cerco sempre di sottolineare l’importanza del “non detto”, del “non immediatamente visibile”, del contesto, dell’appena accennato e, immancabilmente, l’obiezione che mi viene presentata è “sì, ma non è facile”, che si tratta di un esercizio troppo impegnativo, che prevede sforzo e attenzione, che richiede più calma di quella che normalmente le nostre giornate sembrano concederci (ma sono le nostre giornate a farlo?), che oggi abbiamo bisogno di risposte veloci e chiare e che non possiamo starci a domandare troppo cosa ci sia dietro (o di lato, o sotto, o sopra…).
Se mi piace il concetto di spazio negativo applicato alla comunicazione, lo trovo straordinario quando applicato al pensiero sistemico: lo spazio negativo, ciò che non si vede e che si trova intorno a un soggetto o fra più soggetti apparentemente protagonisti, altro non è che il… sistema.
Il sistema sono le relazioni, i collegamenti invisibili (che poi non è vero che sono invisibili, è solo che guardiamo nella direzione sbagliata), è l’insieme dei continui cicli di retroazione che sostengono la realtà con il suo susseguirsi di eventi fra loro SEMPRE connessi in catene chiuse di causa-effetto, catene che noi non siamo educati a vedere.
Diamo costantemente troppa importanza ai protagonisti dimenticando che la corretta interpretazione della realtà risiede nei collegamenti, nelle relazioni tra individui ed eventi e non nei singoli punti, insomma, risiede nello spazio negativo.
Se in quelle due foto di poco fa decidi di cambiare il soggetto (e solo lui), nel primo caso cambia anche il messaggio ma nel secondo no.
E poiché nessuno di noi è un’isola, John Donne docet, allora ne consegue che
“ […] la nostra vita è davvero espressione di ciò che ci circonda, non solo nei termini e nei modi che sto provando a descriverti ma a un livello ancora più profondo, radicale, ontologico. Il sistema, ciò che abbiamo intorno, è la nostra vita, è la forma che assumiamo, è il pensiero che formuliamo. Lo hai appena toccato con mano: se ti ritrovassi improvvisamente fuori dal sistema non solo cambierebbe la tua vita ma, di fatto, tu saresti un altro. A dirla tutta, senza un sistema, per quanto semplice, non potresti neanche esistere; per esistere hai bisogno di essere collocato in un dove e in un quando: all’incrocio di quelle due coordinate ci sei tu, ma anche tanti altri individui ed eventi, sempre.
Tu esisti solo in un sistema; e non venirmi a dire che sei un eremita altrimenti non staresti leggendo queste pagine e, anche se vivessi in una sperduta grotta di montagna con un orto per l’insalata e una capra per il latte, dipenderesti comunque da loro. Senza un sistema, semplicemente, noi non “siamo””.
– Tratto da “Il Grande Spreco: progrediti ma non evoluti” –
Dobbiamo smetterla di analizzare i problemi, perché analizzare distrugge la fondamentale (voglio riscriverlo, fondamentale!) visione d’insieme: l’analisi è quell’arma che uccide solo te e lascia intatto il problema.
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