Esistono le mode.
Esistono e sono più o meno cicliche, riprese pari pari com’erano o appena rivisitate, rinnovate; e naturalmente esistono anche le eccezioni, come i pantaloni a zampa d’elefante che non sono mai tornati (almeno credo, nel caso avvertitemi…).
Accade anche a proposito della pletora di teorie di management e gestione aziendale, più o meno valide, più o meno accreditate e seguite: TQM, BPR, BPM, Kaizen, TPS ecc. sviluppatesi per la quasi totalità tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio dei ’90.
Ciò che non voglio fare qui è tentare un giudizio sulla loro bontà; spesso presentano sovrapposizioni reciproche o costituiscono l’una un sottoinsieme dell’altra o una sua rielaborazione, a volte sono molto vicine al mio modo di pensare e mi piacciono e altre volte no, molte hanno dato ottimi risultati e altre meno, e poi, diciamolo francamente, non le conosco tutte al livello di profondità necessario per permettermi una critica completa.
E infatti il mio obiettivo è un altro ed è molto più vicino alla mia professione: parlare ai manager, agli imprenditori, ai decisori di qualsiasi livello che si trovano a voler o dover innescare un cambiamento in azienda (a prescindere dalla teoria sposata) per gestire la crisi, per aumentare i profitti, per affrontare lo spettro della recessione, per combattere la minaccia della decrescita intesa come riduzione della “grandezza” dell’azienda o del suo business o per evitare licenziamenti o fallimento.
Il mio appello è: non innamoratevi!
Non innamoratevi di una moda, di una soluzione figlia di una “filosofia”, di un approccio premasticato o politicamente influenzato, di un tam tam continuo che, senza che ve ne siate resi conto, vi ha convinti della strada da seguire.
Chi mi segue sa come la penso e non si stupirà se oggi dico “state attenti alla ricerca continua dell’innovazione e della crescita”!
Ne sento parlare continuamente, con una superficialità davvero irritante: innovazione di prodotto, innovazione di processo, innovazione organizzativa, innovazione di immagine, crescita a oltranza…
C’è una cosa di cui sono certo: qualunque sia la scelta che farete, aumenterete la probabilità di aver compiuto quella giusta solamente se prima avrete osservato la vostra azienda da un punto di vista di a) dinamica dei sistemi e di b) relazioni interne.
La vostra azienda è un sistema dinamico complesso, unico in se stesso, ma che risponde ineluttabilmente alle leggi dei sistemi e ciò rappresenta per voi un’opportunità straordinaria… a patto di sapere come si affronta un sistema di quel tipo.
Non “analizzate” la vostra azienda (l’analisi è un’arma letale che uccide solo voi lasciando intatto e anzi più virulento il problema), cioè non scomponetene l’osservazione in parti più piccole nel tentativo scolastico di renderla comprensibile, perché così facendo non solo perderete di vista il quadro d’insieme ma violerete anche le regole che governano il sistema nella sua interezza, che poi è il vero obiettivo del vostro intervento nonché fonte dei problemi; affrontare la complessità dinamica con l’arma dell’analisi non farà altro che aumentare il grado di confusione e di frustrazione derivata dall’individuazione di soluzioni che sembreranno dare risultati a breve ma che, nel lungo periodo, si riveleranno inutili se non dannose.
Evitate le soluzioni sintomatiche, le soluzioni tampone, e cercate il nocciolo, il punto del sistema in cui si genera davvero il problema (e sarà più facile a dirsi che a farsi se, quel sistema, continuerete ad “analizzarlo”!); domandatevi che effetto sistemico avrà il cambiamento che state inserendo (e DOVE dovreste inserirlo!) e ricordate che in un sistema dinamico complesso siete in balìa di queste tre leggi:
– la stessa azione produce effetti diversi a breve e a lungo termine;
– la stessa azione produce effetti diversi su parti fra loro lontane nel sistema;
– azioni ovvie producono risultati inaspettati.
Pensare sistemicamente non è facile, non è immediato, è faticoso e inusuale ma… con chi vogliamo prendercela se la realtà “è” complessa? Come sono solito dire citando P. Senge “tagliare un elefante in due non dà due elefantini”, dà un elefante morto. La vostra azienda è un organismo complesso: o sapete come funziona un elefante nella sua interezza o, quando interverrete per “modificarne una parte”, rischierete di farlo ammalare.
Pensateci un istante. La nostra vita (e così la vita della vostra azienda) si svolge nel continuo succedersi di eventi e di relazioni tra le persone: i primi ricadono sotto le leggi del pensiero sistemico, le seconde sotto quelle della comunicazione.
Già, la comunicazione, l’interazione tra gli individui.
Lo abbiamo detto, la vostra azienda è un organismo e come tale “trasforma”: trasforma risorse in risultati.
Risorse come denaro, idee, strutture, brevetti, materie prime, competenze e via dicendo si trasformano e danno risultati come profitto, quote di mercato, numero di clienti ecc. ecc….
Ma come sarebbe possibile questa trasformazione se non attraverso le persone che compongono il vostro gruppo?
E come sarebbe possibile se le persone non si relazionassero tra loro?
Immaginate ognuno dei vostri collaboratori, siano essi due, cento o mille, chiuso in una stanza isolata dal resto, senza alcun modo di comunicare con gli altri: niente telefono, niente email, niente vetri, niente segnali di fumo, niente macchinetta del caffè. Niente. Ebbene, quelle risorse si trasformerebbero in risultati? Certo che no, tutto resterebbe fermo, immutato; la magia avviene solo quando i singoli smettono di essere tali e si uniscono agli altri, quando si relazionano. Quando comunicano.
Se così non fosse, il mondo imprenditoriale potrebbe tranquillamente fondarsi su sole ditte individuali!
Eppure vi preoccupate di innovare prodotti, processi, competenze, tecnologie e via di questo passo senza fermarvi SERIAMENTE a pensare che qualunque geniale idea o prodotto la vostra azienda rappresenti o produca, essi possono vedere la luce e il successo SOLAMENTE grazie all’interazione tra le persone.
Quell’interazione è il vero motore trasformatore senza il quale non c’è innovazione che tenga e la vostra azienda è lettera morta.
Non converrebbe forse investirci un tantino di più, eh? Che ne dite??
Riscontrare il sempre più diffuso disinteresse dei “dirigenti” nei confronti dei temi della comunicazione e della relazione fra gli individui o i gruppi mi fa davvero andare fuori di testa: è una posizione di una tale miopia e pigrizia che rasenta, anzi va ben oltre, la piena stupidità.
È del tutto inutile pensare all’innovazione e a introdurre chissà quale magico metodo di nuova gestione se prima non preparate il “terreno” (cioè la rete di interazione tra le persone, NON le loro competenze nell’uso di un nuovo software o macchinario) per riceverlo e valorizzarlo: non fatelo e avrete sprecato tempo, denaro e peggiorato la situazione.
E infine la rincorsa alla crescita (…e qui è come sparare sulla Croce Rossa).
La crescita continua è una tale baggianata che stigmatizzarla mi pare un esercizio persino tedioso (e non solo per il semplice e noto assunto che non possono esistere risorse illimitate in un sistema limitato).
In termini sistemici un’economia basata sullo sviluppo continuo è insensata e puerile: esso infatti rappresenta un’alterazione costante, un permanente e innaturale disturbo delle condizioni “di partenza” da cui il sistema muove nel tentativo di raggiungere un equilibrio (come il consolidamento) che gli è tanto necessario quanto reiteratamente sottratto. Un qualunque organismo che non arrivi a quello stato, o al quale sia impedito raggiungerlo, è destinato a una rapida consunzione e quindi a una vita molto più breve. [v. altro articolo]
Insomma, cari decisori, prima di innescare un cambiamento, sposare una nuova teoria operativa o dare il via a un intervento organizzativo, fatevi qualche domanda in più, tipo:
1. Ho una visione sistemica della mia azienda e del sistema che la ospita? In altre parole, so cosa vuol dire “pensare sistemico”?
2. Conosco le dinamiche di interazione e di relazione che esistono nel mio gruppo?
3. A che livello di efficacia e di efficienza sono giunte?
4. Considerando che sono il vero “motore di trasformazione” della mia azienda, ho riservato loro la giusta attenzione? Posso migliorarle e, con esse, il processo che trasforma le mie risorse in risultati?
5. Che effetto subiranno per via del programma che ho deciso?
6. Come sono arrivato a stabilire e scegliere il piano organizzativo che sta per partire?
Vi sembra che stia complicando le cose?
Beh, potete sempre semplificarle ignorando questo articolo…