In quali occasioni definiamo un problema come ‘complesso ’ ?
Siamo abituati a pensare che ciò che è complesso debba necessariamente essere composto da numerose parti (anche diverse tra loro) e questa affermazione non è ‘sbagliata’ in sé ma manca di un aspetto importante: quell’aspetto è l’argomento di oggi.
Pensa a un puzzle, che so, di 2000 pezzi.
Chi ama i puzzle li trova rilassanti : ti sei mai chiesto perché?
Accade perché costui attiva una ‘routine ’ composta da passaggi ripetuti che, proprio in quanto automatici e reiterati, diventano poco impegnativi dal punto di vista del costo energetico del cervello ma anzi lo estrania, riduce cioè le attività alternative e, di fatto, distraendolo.
Controprova? Chi non ama i puzzle (mi dichiaro colpevole) li trova ‘noiosi ’.
Non ci dicono forse, infatti, che per risolverli ci vuole un pizzico di metodo ma tanta pazienza?
Una delle prime cose che facciamo quando cerchiamo di risolverne uno è ‘dividere ’ i pezzi per colore, per numero di teste, separare quelli della cornice da quelli interni ecc.; è un tipico processo analitico (in questo caso alla ricerca di somiglianze) che impariamo sia a scuola che nella vita, molto legato alla logica lineare cui siamo abituati la quale, in questo caso, è una buona scelta poiché ci fornisce un aiuto concreto.
Ora però considera i tasselli: ognuno di essi si relaziona al massimo con altri quattro.
Poi pensa al quadro finale: è stabile, predeterminato e immutevole perché la posizione di ogni pezzo è univoca.
Un puzzle potrà anche comporsi di 10.000 pezzi (curiosità: secondo Wikipedia il massimo in commercio è attualmente di 32.256) ma il suo livello di complessità sarà dato solo da quel numero e dal tipo di immagine rappresentata, null’altro; entrambi questi parametri sono stabiliti e fissi.
Infine, individuato il metodo, la variabile che determinerà la sua risoluzione oppure no è una sola: il tempo che vi si può dedicare.
Questo tipo di complessità è detta ‘di dettaglio ’ e, come già accennato, per comprenderla e risolverla impariamo sin dalla scuola a usare l’’analisi ’; il problema è che ci insegnano solo quella… e a tutti i livelli di istruzione, purtroppo.
Abbiamo anche detto che di fronte a un puzzle o a problemi della medesima natura il metodo analitico ci aiuta perché la complessità in esame deriva dal numero di parti in gioco; esiste tuttavia anche un altro tipo di complessità detta ‘dinamica ’, più ‘faticosa’ e sfuggevole da affrontare.
Vediamola.
La complessità dinamica si presenta quando i vari elementi possono disporsi in ‘posizioni ’ mutevoli gli uni rispetto agli altri e creare reciproche relazioni (influenze) di tipo diverso: ciò porta a numerose combinazioni alternative che un processo analitico non può studiare e comprendere a pieno proprio perché il quadro è instabile e in costante cambiamento.
In un sistema dinamico composto da tre elementi A, B, e C il primo può influenzare B, ma anche B può influenzare A.
Ciascuno di essi poi può influenzare C ma anche esserne influenzato.
Per non parlare della possibilità che due di essi, congiuntamente, influenzino il terzo e viceversa e così via nelle possibili combinazioni. E questo con solo 3 elementi !
Ciò premesso, permettimi qualche domanda…
Quale metodo utilizzeresti per affrontare il problema del traffico congestionato?
O le interazioni di un sistema economico nazionale e internazionale?
O le dinamiche di massa? E quelle della comunicazione/informazione?
Le relazioni in un gruppo di lavoro? O in un’azienda?
Forse ‘analizzandole ’??
I sistemi dinamicamente complessi non devono assolutamente essere ‘analizzati ’, cioè scomposti in parti più piccole nel tentativo di renderli comprensibili, perché così facendo non solo perdiamo di vista il quadro d’insieme (lusso che possiamo permetterci con un puzzle) ma finiamo con l’ignorare anche le regole che governano il sistema nella sua interezza, che poi è il vero obiettivo del nostro ‘studio ’.
Se abbiamo un puzzle che rappresenta un cane dalmata sullo sfondo di un prato verde possiamo certamente ricomporre una parte isolata dell’immagine poiché ciò non vìola alcuna legge che sovrintende al ‘sistema puzzle ‘ (ad es. possiamo concentrarci solo sui pezzi bianchi e neri senza pregiudicare il risultato finale).
Ma possiamo forse ‘sistemare ’ (a proposito, ti sei mai chiesto perché diciamo così…”sistemare ”?) il traffico di un singolo quartiere di città analizzandolo isolatamente rispetto al resto?
Quanto è utile concentrarci sui problemi di Grecia e Spagna nell’attuale crisi economica? (…eppure parliamo continuamente di contagio. Incoerente.)
Possiamo forse considerare ciò che accade all’interno dell’ufficio spedizioni di un’azienda come un problema a sé stante rispetto alle altre unità produttive ?
Possiamo limitarci a stigmatizzare solo la televisione per il degrado culturale e sociale in cui viviamo?
Certo, che possiamo: ma non risolveremmo nulla!
Siamo immersi in sistemi di complessità dinamica e continuare ad analizzarli e risolverli come se fossero pezzi dell’immagine di un puzzle non porterà altro che all’aggravamento delle condizioni e questo perché la soluzione analitica di problemi complessi porta con sé un veleno letale: fa apparire il problema come risolto!
Sì, perché nell’immediato il sintomo sparisce ma il resto dell’organismo è malato e ciò comporterà l’inevitabile recrudescenza della malattia.
Nel pensiero sistemico, si dice che “la situazione prima di peggiorare, migliora ”; per convincersene basterà guardare come andranno le cose (e come sono già andate) se continueremo, ad es., ad affrontare la crisi economica senza una reale visione né preparazione sistemiche.
Chissà, forse dovremmo chiedere aiuto all’idraulico della settimana scorsa….
Quindi, in chiusura:
– di fronte ad un problema con complessità di dettaglio è corretto usare l’analisi.
– di fronte ad un problema con complessità dinamica è necessario l’approccio sistemico.