Qual è la differenza tra Management e Leadership? Figurarsi se non dovevo dire la mia, ero rimasto il solo…
Probabile che ti sia posto il quesito anche tu, almeno una volta, o che l’abbia sentito chissà quante, e magari che ti sia sorto qualche dubbio circa il senso della domanda, se cioè sia ben posta oppure no.
La letteratura di genere straripa di testi, autori e formule e ciascuno può autonomamente farsi un’idea di quale sia l’opera migliore: oggi non intendo entrare in questa querelle ma fare una cosa diversa.
È mia convinzione che un tratto comune a quei molti modelli sia la particolare e a volte eccessiva attenzione alle attività e alle procedure che afferiscono all’uno o all’altra, ovviamente declinate e suggerite in ossequio alle diverse scuole di appartenenza; di converso, ricordo di aver letto tempo fa una riflessione fuori dal coro su questo tema a firma di Gene Bellinger, uno degli autori che seguo con maggior interesse per la sua autorevolezza e vastità di produzione: bene, voglio riprendere quello spunto e proporti la mia visione.
Oltre a ciò, per la prima volta in questo blog, ti proporrò diagrammi dinamici interattivi con i quali potrai “giocare” un po’, cliccando qua e là (qui trovi le semplici istruzioni per l’uso).
Ci stai? Iniziamo.
LA TESI
Questa prospettiva consiste nel distinguere Management e Leadership sulla base delle strutture organizzative che favoriscono piuttosto che su quella delle loro attività tipiche.
La tesi è che una conduzione delle organizzazioni basata sui modelli di Management promuova una struttura sistemica costituita da Circoli di Bilanciamento, i Balancing Loop (B), mentre l’esercizio della Leadership poggi lo sviluppo su Circoli di Rinforzo, i Reinforcing Loop (R).
IL MANAGEMENT
Magari mi sbaglio (lo so, è raro eppure accade :-) ) ma l’idea è che il Management, nelle sue forme più abituali, quelle cui siamo assuefatti e che quasi non mettiamo neanche più in discussione, si concretizzi negli atti di pianificare, organizzare, dirigere, controllare, premiare (o il suo contrario), utilizzare gerarchie, misurare prestazioni, studiare scostamenti, stabilire aggiustamenti.
Per sua stessa natura il Management è una formula di guida e gestione delle risorse che si muove su impulso dovuto ai divari, o gap : quelli tra Stato Corrente e Stato Desiderato.
Chi ha la responsabilità di guidare l’organizzazione valuta la condizione di partenza, l’obiettivo perseguito e opera per ridurre la distanza tra i due: è il caso, per es., della conquista di una quota di mercato, dello sviluppo di un prodotto, di un incremento delle vendite, dei profitti o del numero clienti ecc.
La fragilità connaturata in questo modello sta nel fatto che l’azione organizzativa è presente fintanto che esiste una differenza, una distanza tra il posseduto e il desiderato: si parla perciò di una gestione guidata dallo scarto, dalla discrepanza.
Un ulteriore aspetto di grande rilievo è che in uno schema siffatto non è solo l’attività a essere guidata dal gap ma anche il coinvolgimento del management : a mano a mano che il gap si riduce, non solo decresce l’intensità dell’azione ma anche la motivazione e la concentrazione dei responsabili.
Il paradosso è servito: più ci si avvicina all’obiettivo, minore è lo sforzo organizzativo e l’attenzione del management che viene distratto da nuove situazioni, specie se di carattere urgente o che presentano a loro volta diversi e più ampi gap da colmare. Stessa sorte subiscono le altre risorse come quelle finanziarie, umane o di materiali che vengono riassegnate a progetti emergenti.
Lo schema si ripete poi a oltranza fino a quando il primo divario torna a crescere tanto da attirare nuovamente l’attenzione, sottrarre risorse ai progetti che magari stavano avendo successo su altri fronti e ricominciare il ciclo.
Da un punto di vista sistemico tutto ciò è quindi espresso da strutture a Circoli di Bilanciamento: ecco la dinamica della gestione guidata dal gap (schema 1).
LA LEADERSHIP
Leader è una parola abusata, ammettiamolo: quante volte al giorno la sentiamo pronunciare dai media o la leggiamo sui giornali o su internet?
Ci sono le aziende “leader nel loro settore” (che poi lo sono sempre tutte e mi domando come sia possibile), i professionisti idem, ci sono i “leader di se stesso” e ci sono quelli che ti insegnano a diventarlo (devono essere i metaleader o qualcosa del genere), ci sono i leader in politica (…brivido), nella società, nell’accademia, nella ricerca ecc., insomma è un’altra mania moderna questa di voler essere leader in qualcosa.
Ma perché diciamo leader e leadership?
Leader deriva dal gotico antico laeden che significa “andare avanti o verso l’alto” in riferimento però alle azioni che venivano intraprese per il bene della comunità; anche il suffisso –ship deriva dal gotico schaeppen, “fare qualcosa di importante, creare qualcosa di valore”. Inoltre i vasi di creta utilizzati per conservare acqua e cibo, elementi importantissimi, anzi vitali, erano detti schop e riposti su scaffali detti schoppa (capito sì, perché diciamo “fare shopping”?).
La premessa etimologica non è fine a se stessa, anzi mi aiuta a richiamare quello che secondo me dovrebbe essere il vero senso della Leadership e che Bellinger afferma nel suo studio.
La Leadership interviene sui processi profondi, innesca cambiamenti generativi ed evolutivi, ispira visioni condivise e lascia ai componenti del gruppo ampia libertà d’azione: tale attività, proprio perché non intruppata, scatena risorse e creatività grazie alle quali il raggiungimento dell’obiettivo comune segue percorsi innovativi e più efficienti. In una struttura di questo tipo sono i Risultati stessi a promuovere l’azione: è per questo motivo che, con una formula diametralmente opposta al Management, la Leadership si basa su Circoli di Rinforzo.
In una struttura come questa il raggiungimento dei Risultati incentiva ulteriormente l’azione grazie a una dinamica del tutto antitetica a quella precedente: il motore dell’attività è alimentato dai risultati che così producono altri risultati (schema 2).
Intuirai che il diagramma è fin troppo semplice e che forse andrebbe popolato di altri elementi.
Per esempio, si dovrebbe considerare che i risultati possono alimentare altri risultati solo a patto che i primi siano percepiti come significativi altrimenti il “gioco non funziona”. Affinché ciò accada è necessario che il gruppo viva valori e obiettivi condivisi, perché solo così il loro raggiungimento, rappresentando un successo vissuto e sentito da tutti, è premiante in sé.
Ancora una volta, dunque, gli interventi organizzativi volti a creare il corretto clima di collaborazione e partecipazione, in cui i singoli sono valorizzati nella loro unicità, sono strategici e irrinunciabili.
La significatività dei risultati è una ricompensa intrinseca che fornisce impulso ad attività mirate al raggiungimento di altri risultati: le ricompense intrinseche sono dunque la chiave di volta di questo tipo di struttura (schema 3).
LE RICOMPENSE
Le ricompense sono note a tutti con il nome di incentivi.
La gestione a incentivi, dal punto di vista sistemico, è quanto di più disfunzionale esista: in questa prospettiva, infatti, gli incentivi sono esterni al sistema, sono cioè estrinseci.
Mi spiego.
Le ricompense sono un elemento di distorsione del normale equilibrio, sono un elemento estraneo inoculato nel sistema dal management nel tentativo di forzarne il comportamento verso una direzione altrimenti improduttiva.
Ma se così è, allora dovremmo fermarci e domandarci per quale motivo ciò accada: cos’è che rende necessario questo costante intervento “esterno”, supplementare?
Di fatto, gli incentivi, oltre a essere un metodo ingiustificabilmente costoso, sono un modo inconfessato e inconfessabile di “lottare contro il sistema”.
Esiste un’ulteriore controindicazione alla gestione per incentivi.
A causa delle ricompense estrinseche (immagina, per es., i premi forniti dall’esterno della struttura produttiva) le attività, nel tempo, si dividono in due flussi separati. La prima attività (I) continua a essere quella corretta e mirata alla produzione dei risultati; la seconda (II) si sviluppa invece sotto la guida e l’impulso delle ricompense.
Ma non basta.
Gli attori che si muovono per effetto della gestione per risultati, con il passare del tempo saranno spinti (e attratti) dal desiderio delle ricompense: ciò trasforma l’intera attività in una produzione di ricompense e non di risultati.
Ecco dunque l’effetto collaterale: l’attività (II) sottrae risorse e forza all’attività (I).
Nel tempo, il tutto si traduce in una riduzione di risultati poiché essi sono stati sostituiti dalle ricompense: da un punto di vista sistemico la gestione per ricompense crea strutture autolimitanti e autodistruttive (schema 4)!
IL RITORNO DELLA LEADERSHIP E CONCLUSIONE
Ricordo che un giorno di molti anni fa (sigh!), quando facevo il promotore finanziario, il mio primo supervisore e maestro (ciao Mauro!) mi chiese: “Lo sai qual è il primo dei due doveri di un Leader?”
“No”, ammisi.
“Rendersi inutile il prima possibile”, fu la risposta: ci misi qualche istante a capire.
Più tardi scoprii il secondo: gestire il cambiamento.
Bene, ora voglio farti una domanda: se nello schema (1) il Management è chiaramente individuabile, nello schema (3) dov’è la Leadership, dove la vedi?
Il coinvolgimento di un vero leader, con i suoi due doveri, deve riguardare la progettazione e la realizzazione di una struttura organizzativa che favorisca flussi naturali come quelli che hai visto, non la gestione puntuale, controllata e forzata delle attività nella struttura.
In una prospettiva sistemica la vera Leadership è ovunque e in nessun luogo, ed è per questo che non ne vedi una rappresentazione grafica esplicita: essa è espressa, si manifesta e si concretizza nel comportamento e nel benessere di tutti, anche quando il leader è assente.
Gianluigi
email: gianluigi@neorema.net
grande articolo, bravo Gianluigi a trattarlo con l’approccio sistemico dei circuiti causali.
Buongiorno Roberto, ti ringrazio molto per l’apprezzamento! Ti auguro un’ottima domenica.