Qualche giorno fa un mio caro amico, David Lisetti, imprenditore di successo, co-fondatore di FEF Acamedy e attivista Memmt, mi chiede se me la sento di scrivere due parole su una notizia di “cronaca economica” che lo ha colpito soprattutto per i suoi risvolti linguistici e di manipolazione mediatica.
Immaginate un po’ cosa ho risposto…
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Edoardo è un ingegnere aerospaziale, ha 29 anni, e una storia da raccontare, come molti fra noi.
La sua riguarda il lavoro, riguarda il suo futuro. E con il futuro non si scherza: se hai la ventura di averne uno, beh, per sua natura ti raggiunge e allora prega che non sia cattivo…
Fosse stato per Edoardo, non si sarebbe limitato a “pregare” di avere un bel futuro: fosse stato per lui avrebbe lavorato, per averlo.
Nel celebre romanzo di Khaled Hosseini, Il cacciatore di aquiloni, uno dei protagonisti, Baba, dice al figlio: «C’è un solo peccato. Uno solo. Il furto. Ogni altro peccato può essere ricondotto al furto. […] Se uccidi un uomo gli rubi la vita. Rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli quello alla lealtà.»
Bene, quella di Edoardo è la storia di un furto e sarebbe sin troppo facile adesso elencare, con la solita stucchevole retorica, in cosa consiste la refurtiva: “gli hanno rubato il futuro”, “gli hanno rubato la speranza”, “gli hanno rubato la possibilità di crearsi una famiglia” e via di questo passo, con quella fastidiosa superficialità, con quell’ipocrita ed effimera attenzione, con quel manieristico interesse che rivolgiamo agli eventi che, in fondo, stanno accadendo “ad altri” e che occupano i nostri pensieri appena fin sulla soglia della prossima, imminente, ordinaria distrazione.
Eppure, a ben vedere, in quel sacco, insieme con tutto il resto del maltolto, c’è qualcosa che appartiene anche a noi, non solo a Edoardo e, non fosse altro che per egoismo, dovremmo preoccuparcene e tanto: sto parlando del vero significato delle parole, quelle che, oggi abilmente distorte, sono servite a ingannarlo e che ingannano ciascuno di noi.
Alla fine se n’è accorto da solo, Edoardo… lo hai sentito al min. 05:20?
«…perché magari è solo la parola, però “indeterminato”….uno si fa delle idee in testa…»
Può piacerti oppure no, puoi crederci oppure no, può irritarti o esserti indifferente, ma questo non cambierà una verità scientificamente dimostrata; le tue decisioni, le scelte che operi, le opinioni che ti formi, l’indirizzo che dai alla tua vita, il quadro che ti fai della realtà, ciò che comprendi del mondo, che ami o che detesti, ebbene, tutto questo, nella tua mente, prende forma, senso, significato e correlazione grazie al più importante strumento, consapevolmente utilizzabile, che il tuo cervello abbia a disposizione: il linguaggio.
Quando alterano il significato delle parole, lo piegano o lo limano, quando nascono neologismi, quando ti rifilano ossimori, quando reiterano slogan, quando la “fanno troppo facile”, quando usano termini stranieri, ebbene, in queste e in molte altre maniere ti stanno rubando il diritto alla piena conoscenza, il diritto ad avere le informazioni necessarie per operare scelte consapevoli e non manipolate.
Il caso di Edoardo in fondo è semplice, evidente: chiunque adesso potrebbe rilevare quanto il significato del termine “indeterminato” sia stato rovesciato dall’oggi al domani (vale la pena sottolineare che contro la mia tesi non varrebbe neanche l’obiezione circa il significato letterale del termine che, in sé, ne giustificherebbe il nuovo uso: in fondo, si potrebbe dire, “indeterminato” significa “non noto”, “non stabilito”, quindi perché gridare allo scandalo? Perché nella lingua la consuetudine è parte fondante del mezzo e quindi tale rilievo andrebbe rigettato).
Purtroppo, a dirla tutta, la questione è molto più complicata di così: la comunicazione o, in questo caso, la propaganda hanno regole composite e codificate, alchimie sottili e perniciose, che non si fermano alla distorsione dei singoli significati ma alla ricomposizione delle strutture lessicali, allo stravolgimento delle consuetudini idiomatiche e semantiche, all’impoverimento del vocabolario, alla iper-semplificazione e ai modi e tempi di somministrazione…
Certo, possiamo divertirci a stanare i piccoli “tarli” come “tutele crescenti”, “Salva Italia”, “Unione Europea” (questa è un po’ più difficile), “democrazia dal basso”, “antipolitica”, “Buona Scuola”, “Jobs Act”, “spending review”, “debito pubblico” ecc. ma non faremo mai grossi passi avanti e non ci difenderemo mai in maniera davvero efficace se prima:
a. non ci rendiamo profondamente conto di quanto sia grave e pericoloso per la società ciò che sta accadendo al nostro linguaggio
b. non decidiamo di dedicare parte importante della nostra vita a studiare e imparare come difenderci.
Facile? No, forse no. Impegnativo? Certamente, ma in fondo nulla che valga veramente è mai a “buon prezzo”.
Come al solito, è una questione di scelta.
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LE SOLITE SEI REGOLE D’ORO
1. Tieni a mente che il diritto al giudizio ti appartiene: se così è, allora hai anche diritto di ricevere tutti i dati per poterlo formulare compiutamente e autonomamente
2. Moltiplica le fonti di informazioni da cui attingi i dati così da costruire al meglio i tuoi giudizi
3. Verifica quanto ti viene detto
4. Ricorda che la comunicazione è sempre finalizzata: domandati qual è il fine
5. Coltiva e recupera la memoria degli eventi: parole e fatti devono andare d’accordo
6. Poni attenzione alle “divisioni” e agli antagonismi creati ad arte