Prova a fare una ricerca in rete per ‘comunicazione aziendale ’…
…ti uscirà di tutto: marketing, vendita, leadership, team building (locuzione da dimenticare), team working (un po’ meglio ma non troppo), pubblicità, comunicazione efficace, tecniche di persuasione, comunicazione interpersonale, branding, customer care, comunicazione d’impresa, comunicazione creativa (ma per favore…) e chi-più-ne-ha-più-ne-metta…
Insomma, cos’è davvero la ‘comunicazione aziendale ’ ?
Credimi, nessuno te lo dirà mai compiutamente.
Forse perché è davvero tutte queste cose messe insieme (e magari altre, ma ne dubito) o forse perché ognuno, a buon diritto, ne ha una sua visione personale.
Probabilmente una prima distinzione da fare è quella tra la comunicazione che l’azienda “produce” verso l’esterno (cioè il mercato/mondo) e quella che invece regna al suo interno; la mia convinzione è che lavorare su quest’ultima sia prioritario, strategico, qualificante e imprescindibile.
Voglio provare a illustrarne le ragioni.
Un’azienda è un organismo di trasformazione: trasforma infatti ciò che ha a disposizione come risorse (tecniche, materiali, finanziarie, di conoscenza ecc.) in risultati (profitto, immagine, quote di mercato…).
Sembrerà banale (ma lo è?) eppure il passaggio dalle prime ai secondi è possibile esclusivamente attraverso e grazie alle persone, agli individui che operano al suo interno; potremmo avere la migliore delle idee con fondi ingenti, super-tecnologie e pianificazioni perfette ma senza le persone tutto resterebbe lettera morta.
Inoltre, se da un lato selezionare e inserire uomini e donne in un progetto è relativamente facile, dall’altro rendere efficaci le relazioni con e fra di essi è tutt’altra musica…
…e senza relazioni corrette, equilibrate, indirizzate a obiettivi comuni e condivisi, la trasformazione da risorse a risultati non avviene o, al minimo, avviene molto meno efficientemente di quanto potrebbe.
Risultato: rallentamenti, cali di produttività e di qualità, aumento dei costi, dispersione di risorse, calo dei profitti, opportunità perse…
Gli imprenditori (e il loro management) sono tradizionalmente attenti misuratori degli aspetti numerici ma sono ciechi all’incidenza che le relazioni all’interno della loro azienda hanno su costi e produttività, ambiente e qualità, solidità e turnover, appartenenza e contributo, fiducia e lealtà, competenza e giustizia, apprendimento e crescita.
Si addestrano a usare i numeri (e il controllo in genere) per misurare e capire come stiano andando le cose; il guaio è che i numeri possono misurare le risorse e i risultati ma non il modo in cui le prime si trasformano nelle seconde: lavorare solo sui numeri è una soluzione semplicistica e ingannevole, priva di una reale visione sistemica senza la quale il sistema stesso è destinato all’autolimitazione progressiva.
In altre parole non esistono funzioni matematiche, algoritmi o equazioni capaci di misurare le relazioni e le interazioni (la vera struttura portante e trasformatrice dell’impresa); per quelle non esistono calcolatrici, grafici o software da consultare comodamente seduti alla scrivania: occorre formarsi, addestrarsi, essere aperti, curiosi, flessibili.
E coerenti.
Ecco quindi cosa deve fare, nella mia visione, un (per)corso di comunicazione aziendale: deve insegnare a misurare e aumentare l’efficacia delle relazioni umane e professionali all’interno dell’azienda, creare un terreno comune di partecipazione all’obiettivo, stimolare il contributo, la critica, l’ascolto, il rispetto e lo scambio di informazioni ed esperienze, deve insegnarci a far interagire le persone come individui e non solo come ruoli, deve aiutarci ad abbattere le barriere di imbarazzo o pericolo che i nostri collaboratori avvertono quando si rapportano ai colleghi (qualunque posizione “gerarchica” essi ricoprano), deve creare un modello di leadership diffusa e riconosciuta, deve garantire una base di valori condivisi e una visione che li unisca, deve guardare all’azienda come a un sistema dalla complessità dinamica e non di dettaglio.
Operare qualunque altra scelta equivale a tentare una scorciatoia, forse comoda (apparentemente) ma miope.
La cultura di un’impresa non risiede solo nelle sue tecnologie e nei suoi brevetti e questo perché un’impresa non è una banca dati ma un luogo dove esseri umani vivono migliaia di ore della loro vita e, della loro vita così come della “loro azienda”, possono farne qualcosa di straordinario.
Oppure no.