Confesso che non lo conoscevo, Edwin Honig.
E forse è così per molti di noi; poeta e scrittore americano, difficile incontrarlo nella nostra lingua, è stato traduttore ed esegeta di García Lorca, Calderón de La Barca, Fernando Pessoa e Miguel de Cervantes, professore Emerito a Harvard e alla Brown University, parlava inglese, spagnolo e portoghese, ma anche tedesco, arabo, russo, ebraico, yiddish, un po’ di italiano e di francese.
Io l’ho “incrociato” in tv, in questi giorni di festa tra un libro e una passeggiata, ne “Il poeta che dimenticava le parole”, un documentario diretto da Alan Berliner, suo cugino, e prodotto dalla HBO.
Mi ha colpito il titolo, fin troppo esplicito, e ho deciso di guardarlo; dopo una ventina di minuti ho fermato tutto, sono tornato indietro e ho ricominciato taccuino alla mano… c’erano dei passaggi che dovevo assolutamente appuntarmi.
Berliner aveva ottenuto dal poeta, tempo prima, il permesso di filmare gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato il morbo d’Alzheimer; un obiettivo, quello della telecamera, al contempo impietoso e delicato, con un montaggio struggente e illuminante su dialoghi brevi ma intensi, brani di poesia e di vita pre e post malattia.
Il male che uccide la memoria e le parole non è potuto che apparirmi come una crudele nemesi: sull’altare del linguaggio e della vita espressa e vissuta attraverso il culto di esso, Honig aveva sacrificato ampie porzioni della sua esistenza di uomo, marito e padre, chiuso nei suoi studi alla ricerca del modo per raccontare i propri pensieri e le sue profondità continuamente esplorate, tormentate, sempre in divenire: una leva, sperava, per liberare menti e cuori di chi leggesse i suoi versi, lui, così combattuto, imprevedibile, a tratti crudele nella sua assenza o nella sua ingombrante egocentrica presenza.
Non un uomo perfetto, no, solo un uomo che proprio nel declino di un’esistenza gloriosa ha forse lasciato il suo testamento spirituale più importante e definitivo.
Nel corso della lenta ma inesorabile discesa nell’oblio si è agitata fino all’ultimo, ancora e sempre, violentemente, la sua immortale anima di poeta, ribelle alla prigionia delle stanze, ormai oscurate, di una mente che andava disfacendosi: il risultato di quell’insurrezione interiore sono i momenti di lucidità in cui l’uomo, prima di spegnersi, ha fatto i conti con se stesso.
E a questo mi ha fatto pensare la sua storia: a come l’Uomo dovrebbe fare i conti con se stesso.
Circa un anno fa ho provato a scrivere sull’importanza della memoria intesa come pietra angolare per le scelte future e i comportamenti quotidiani, e ne sono sempre più convinto; ma vedere che proprio un uomo ormai privato della memoria fosse in grado di porre la questione in termini così vigorosi e vibranti, e così inconsapevolmente spietati, beh, mi ha colpito profondamente.
Mi sono stupito di come le domande, le risposte e le frammentarie lectiones regalateci dal poeta, ormai alla fine della sua vita, fossero così adatte a quello scopo: l’ascesa e la caduta di un uomo come paradigma di un analogo percorso dei popoli.
Così ho pensato al nostro paese, sì, proprio all’Italia (non è forse il “nostro” paese? e non è forse nelle facoltà dei poeti di farci “arrivare”con la mente là dove raramente ci affacciamo?), e ho provato a rileggere, vestito da italiano, quelle frasi che mi ero appuntato: e, naturalmente, non ho trovato nessuna soluzione di continuità tra ciò che accade all’uomo e ciò che accade agli… uomini (quale grave limitazione, nella nostra lingua, la declinazione al maschile di un termine invece tanto trasversale). Ma se al primo si riconosce la difficoltà della terribile malattia, ai secondi, nel loro insieme, va invece, lo ammetto, la mia rabbia.
Pensieri di un popolo che non c’è più:
1. Cultura, tradizione, storia, valori, radici: tutto perso.
Honig: Non ho molti ricordi in questo momento. Ho perso qualcosa. So che c’è stato un passato e so di averne fatto parte ma ora l’ho abbandonato per vivere nel presente.
Alan: Sai che hai scritto questi diari per quasi 50 anni?
Honig: No.
Honig: Siamo seduti in questa stanza e non sono dirti dove sono nato.
Alan: In che senso?
Honig: Io non ricordo da dove provengo.
Honig: La parola memoria suscita un senso di tempo e spazio, così tanto dipende da essa, ti indica quali sono state le cose importanti della tua vita.
2. Senso di appartenenza, di fratellanza.
A. : Significa niente che siamo cugini?
H. : Forse un tempo.
3. Nostalgia della propria antica gloria: opportunistica, comoda, pigra, patetica impotenza.
H. (osservando se stesso in un vecchio filmato): Lui sa cosa vuole dalla vita. Io no.
4. Il futuro che ci aspetta e che esorcizziamo ignorandolo.
A. (interrogando Honig sulla propria paura di perdere la memoria per familiarità: anche il padre di Alan, infatti, soffre della medesima malattia): Che consiglio mi daresti?
H. : Preparati. È peggio di quanto tu possa immaginare.
5. Paradosso di un popolo
H. : La mente può essere vuota e continuare a funzionare: questo è il problema.
6. Beatamente inconsapevoli. Egoisti.
A. : Sapresti dirmi se oggi il mondo sia messo male oppure no?
H. : Quale mondo?
7. Non abbiamo perso solo le soluzioni, ma anche gli strumenti per trovarle.
A. : Cosa si può fare per avere una buona memoria?
H. : Non riesco più a rendermi conto cosa significhi avere una buona memoria.
A. : Perché ti dispiace perdere la memoria?
H. : Perché non ricordo come ci si sente a ricordare.
8. Essere un popolo orgoglioso, compatto, fiero: non sappiamo cosa voglia dire.
A. : C’è qualcosa che credi non dimenticherai mai?
H. : È una domanda strana
9. Approssimativi. Cialtroni.
A. : Esci mai a fare una passeggiata.
H. : Sì, lo faccio. Almeno credo.
10. Vanagloria da mondiali di calcio: puerile identificazione sociale che colma vuoti identitari personali.
H. : Il passato non è ciò che è successo ma ciò che si ricorda sia successo.
11. Lamentarsi, lamentarsi, lamentarsi.
Oscar, padre di Alan: Non voglio finire così, mi merito qualcosa di più.
12. Superficiali.
H. : Che cos’è la memoria se non un modo per dire che siamo vivi?
13. Miopi. E irriconoscenti nei confronti della storia.
H. : Si ottiene tanto e si perde tanto
14. Le lezioni che non ricordiamo: storiche, culturali, politiche.
A. : Immagina di essere in un film e che milioni di persone ti stessero guardando: cosa diresti?
H. : Ricordati di come si dimentica.
H. : Non ho più notte di ciò che sapevo la mattina.
………….
L’ho detto: nessuna soluzione di continuità tra ciò che accade all’uomo e ciò che accade agli uomini.
Come d’abitudine, all’inizio di un nuovo anno, mi metto qui a scrivere ciò che mi passa per la mente e questa volta parlare di memoria, proprio in occasione di un giorno che ha solo una funzione segnatempo, sembra quasi fatale.
Non so se l’inizio di un anno sia indicato per i bilanci o per i buoni propositi e, francamente, non mi interessa affatto: è una pura convenzione e non è a quella che dovremmo legare le nostre abitudini virtuose. Quello che so è che è… passato un altro anno, altro tempo.
E la memoria del mio paese mi pare ancor più danneggiata.
Rivolgo a me stesso un augurio: di non perdere mai la mia, di coltivarla, di difenderla, di usarla per comprendere e decidere.
Ma soprattutto, egoisticamente, lo rivolgo a te, perché le conseguenze delle tue decisioni arrivano sempre, in qualche modo, fin dentro casa mia.
Non è necessario essere un genio del pensiero sistemico per vedere come tutto sia connesso e neanche per comprendere come la memoria sia la vera patria di un popolo, la trama comune che unisce, o dovrebbe unire, le vite degli individui in cammino verso un futuro degno di essere vissuto.
Ad maiora!
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Se ricordo chi fui
Se ricordo chi fui, diverso mi vedo,
e il passato è il presente della memoria.
Chi sono stato è qualcuno che amo,
ma soltanto nei sogni.
È la nostalgia che m’affligge la mente,
non è mia né del passato veduto,
ma di chi abito dietro gli occhi ciechi.
Nulla, se non l’istante, mi conosce.
Nulla il mio stesso ricordo,
e sento che chi sono e chi sono stato
sono sogni differenti.
Fernando Pessoa
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Passaggio
Quando la speranza muore,
i lacci che ci tengono stretti al tempo si sciolgono,
e sediamo da soli nello spazio come in un luogo
che non può più trattenerci: da qui ci risvegliamo
in un’altra forma ancora non ben forgiata,
una forma di un altro essere non ancora immaginato,
e da lì osserviamo la carcassa del nostro precedente io.
Chiaramente andati, senza alcuna traccia, non siamo più lì.
Edwin Honig
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Immagine: Edwin Honig – Brooklyn, New York, 3 settembre 1919 – Providence, Rhode Island, 25 maggio 2011.
Per la cronaca: http://www.ansa.it/molise/notizie/2015/01/02/alzheimer-stop-servizio-domiciliare_b92bb224-e42f-439f-8d9e-fcc56b34438a.html
http://www.primonumero.it/attualita/news/1420105461_-assistenza-domiciliare-malati-alzheimer-sospesa-famiglie-protestano.html